QSR XXI - Presentazione

 

Redde rationem vilicationis tuae; iam enim non poteris vilicare (Lc, 16,2).

Con queste dure parole un ricco possidente si rivolse al proprio amministratore, accusato d’essere il dissipatore dei suoi beni. E l’amministratore, preoccupato per un destino che si preannunciava incerto e difficile, dato che non era capace di mantenersi in altro modo, falsificò i conti; chiamò a sé i debitori e condonò loro una consistente parte del dovuto, li esortò a correggere le ricevute di debito senza alcuna autorizzazione del proprietario. Invece di punirlo per l’ulteriore frode, però, il padrone elogiò l’economo disonesto, quia prudenter fecisset (Lc, 16,8). Pur di farsi degli amici, aveva donato il denaro e le sostanze accumulate oltre giustizia. Per chi è delegato ad amministrare i beni altrui, dunque, si tratta talvolta di decidere con difficoltà tra due modi d’operare, fondati su princìpi diversi, alternativi, che impongono la scelta, appunto, tra la fedeltà al ‘denaro’ (Mammona, per usare le parole di Gesù riportate da Luca) e quindi l’onestà secondo la legge ferrea del profitto, oppure la fedeltà ai dettami divini della carità e amore verso il prossimo, intraprendendo una strada che può persino richiedere di agire in modo ‘fraudolento’ o insensato rispetto a quella logica del guadagno. Ne consegue altrettanto logicamente l’impossibilità, per un servitore, di obbedire a due padroni (Lc, 16,13).

Questo il Vangelo, con le sue alternative apparentemente radicali ma anche la sua apparente chiarezza poco incline ai compromessi. E la storia? e le infinite sfumature del reale?

La suggestione della parabola raccontata da Luca è abbastanza evidente nella scelta del titolo di questo numero dei «Quaderni di storia religiosa» incentrato sulla documentazione contabile prodotta dagli amministratori di chiese ‘parrocchiali’, anche se il significato del passo evangelico non è stato esplicitamente posto come interrogativo con il quale confrontarsi durante le fasi della ricerca e la citazione di Luca – salvo errore – non è stata ripresa da alcuno degli autori che vi hanno scritto. Il motivo, a volerne cercare, si trova; sia per spiegare la scelta del titolo: i Quaderni sono di storia religiosa e richiamano l’esigenza di un confronto – se possibile – con i temi portanti della religione e dello spirito e quindi anche con la dottrina; sia per comprendere l’assenza del riferimento scritturale nei singoli saggi. L’assenza non è verosimilmente imputabile a distrazione. È più probabile che non fosse ancora giunto il momento per inserire quel parallelismo nelle pagine degli studiosi che hanno individuato e cominciato a leggere e decifrare i documenti alla base dei loro saggi. Ilmomento dell’interpretazione ‘religiosa’ per le testimonianze esaminate in questo quaderno non è ancora completamente maturato.

Lo si può dire per diversi motivi. Innanzi tutto, gli studi qui raccolti hanno mostrato che, tranne poche circostanze, è stato faticoso persino trovare nel territorio ora italiano le fonti prodotte durante il periodo prescelto, a cavallo tra il tardo medioevo e la prima età moderna. Non che le carte contabili manchino a partire dal secolo XIII. Esse sono al contrario copiose, ma sono in genere relative a imprese commerciali di famiglia o a istituzioni signorili e comunali, in un dominio che si direbbe prevalentemente laico. Nelle diverse forme e per le diverse funzionalità, i libri amministrativi erano noti e usati anche dalla Chiesa, ma le loro vestigia di solito si concentrano negli archivi di enti di notevole importanza: dalla curia papale a quelle episcopali, dalle mense canonicali alle fabbriche delle cattedrali. È invece assai più difficile individuarne a livello di più modeste chiese curate, plebanali o parrocchiali. I casi qui indagati, salvo eccezioni, mostrano questa difficoltà, che ha anche costretto ad allargare le maglie di classificazione, pur di trovare una adeguata casistica comparativa.

Mostrano sopra tutto che, a prescindere da possibili e persino probabili scoperte (quando si cerca, si trova...), l’assenza o la presenza di una simile tipologia documentaria rivelano una conformazione assai variabile della cellula di base in cura d’anime della Chiesa, in Italia e fuori dall’Italia, e ne segnalano un grado diverso di responsabilità e condivisione tra clero e laici. La spiegazione della produzione e della conservazione di tali documenti sembra infatti additare la necessità di una coscienza istituzionale non solo ecclesiastica e clericale, ma anche dell’intera comunità dei fedeli, per piccola che potesse essere. La debole consistenza della linea di durata della memoria amministrativa delle chiese curate, minata dall’avvicendamento frequente dei pastori dotati di personalità assai diverse, sembra aver trovato motivi di forza e di precoce continuità solo nei casi in cui appare robusta e consapevole la componente comunitaria locale, capace di avvertire il compito di provvedere all’edificazione, alla manutenzione, al decoro e al sostentamento di chiese e di sacerdoti concepiti davvero come ‘propri’. Da qui l’esigenza di conservare traccia di come erano amministrati i beni e i denari e di renderne conto, di fronte all’insieme dei fedeli e di fronte alla Chiesa dei sacerdoti.

Ma come comprendere questo, e altro, da un registro di entrata e uscita? da una sequela di numeri e di annotazioni quasi casuali, apparentemente prive di connettivi? Marc Bloch, nel suo I re taumaturghi, aveva usato magistralmente, al di là dei dati quantitativi, i registri contabili delle camere regie francese e inglese e aveva avvertito, sul piano delle prassi di studio e di esegesi, che «i documenti di questo genere sono di interpretazione molto difficile; non ci si può accontentare di spulciarvi a caso qualche particolare; per sfruttarli bene bisogna esplorarli metodicamente» (p. 439, della trad. it., Torino 1973). Per comprendere i messaggi affioranti da tali documenti, dunque, è necessario immergerli in un contesto documentario e di conoscenze storiche molto più articolato ed esteso. La maggior parte delle pregresse esperienze di studio sui libri di introiti e spese ‘parrocchiali’, infatti, si è accontentata di ‘spulciarvi’ qualche dato e qualche notizia, alla ricerca di informazioni su cose (spesso emergenze architettoniche o artistiche) e persone. È un uso pienamente legittimo, ma limitato e limitante, e rischia di far dimenticare la parte più difficile e significativa e cioè il tentativo di interrogare la fonte nel suo complesso, nello sforzo di coglierne le motivazioni intrinseche e le finalità peculiari, di riconoscerne in qualche modo l’‘anima’.

Questo Quaderno vorrebbe mettere a fuoco tale intenzione. Esso non rappresenta di per sé una novità assoluta, ma è guidato da un più attento e avvertito proposito di avviarsi a colmare un deficit esegetico, che appare anche maggiore se si considera lo specifico ‘religioso’ di tali annotazioni che sembrano aver poco a che fare con le aspirazioni dello spirito. Le casistiche riportate consentono una abbastanza ampia veduta sul reale e gli approcci dei ricercatori sono stati diversificati, ma tutti costruiti direttamente sulla documentazione. Il lettore forse potrebbe a questo punto forzare un po’ la mano, e si potrebbe domandare cosa ci sia di religioso nel tenere i conti di una parrocchia e nel redigerne la documentazione sottoposta a verifica. Forse la risposta si trova proprio nel concetto di reddere rationem, letto alla luce del dilemma evangelico sopra enunciato. I lettori potranno portare con sé questa chiave e cercare di aprire con essa le serrature che si trovano, una dopo l’altra, nelle pagine di questo volume. Oppure vedranno e troveranno altro, conforme alla propria sensibilità. In ogni caso, l’esperienza non sarà inutile.

 

Donato Gallo, Alfredo Lucioni, Raimondo Michetti,
Michele Pellegrini, Maria Clara Rossi, Andrea Tilatti